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Il latore di scomode verità

Scrivo il post di oggi con la tristezza mista a un senso di fastidio che non riesco a cancellare.
Tristezza per la morte di una persona passata inosservata a causa di un altro decesso mediaticamente molto più eclatante (mi sto riferendo a Piermario Morosini); il fastidio, invece, è stato cagionato dal leggere alcuni giornali di oggi, bravissimi a darne la notizia minimizzando i contenuti degli ultimi anni per esaltarne il passato difficile.
Mi sto riferendo a Carlo Petrini.
Per chi non lo conoscesse Petrini è stato un attaccante che militato in parecchie squadre importanti di serie A (Milan, Genoa, Torino, Bologna) tra la metà degli anni sessanta e gli inizi degli ottanta.
Ma la sua non fu solo una vita di gloria sportiva, ma anche di amarissime vicende personali legate al calcio scommesse e ai crack finanziari.
Non voglio però dilungarmi in questo aspetto della sua vita (e esorto chi mi legge se volesse saperne di più a consultare la voce di Wikipedia al riguardo), ma voglio parlare dei suoi ultimi anni.
Reso quasi cieco da un glaucoma, Petrini pubblica nel 2000 per la “Kaos edizioni” Nel fango del Dio Pallone, autobiografia della sua vita sportiva e non nel mondo del calcio, un durissimo atto di accusa contro il doping imperante (che Petrini riteneva causa della sua malattia), del malaffare e degli intrallazzi.
Negli dieci anni scriverà con lo stesso editore altri nove libri, tutti altrettanto scomodi e virulenti.
Mai intervistato seriamente dalle testate giornalistiche(le stesse che chiamano come opinionisti inquisiti e condannati), non ha mai ricevuto (per quanto mi è dato sapere) alcuna causa per diffamazione da parte di alcuno.

Vi lascio con un’ultima sua dichiarazione emblematica e inquietante, non solo per il calcio di oggi, ma anche della nostra società.

«Una recente indagine ha dimostrato che un adolescente su tre è disposto a fare uso di sostanze illecite pur di raggiungere il successo nel mondo del calcio. La cosa ancora più inquietante è che il 10% di loro si dichiara ‘pronto a morire per uso di questo sostanze’, pur di assomigliare al proprio idolo sportivo».

Racconto Bonsai: Fumo

La granata a frammentazione esplose un paio di metri sulla sinistra del capitano, riparato dietro la paratia anti-scoppio.
Il rumore delle armi da fuoco era assordante inframezzato dal fumo e dal puzzo di carne bruciata.
Il vice si avvicinò al suo superiore tenendosi basso e urlando nel contempo per farsi sentire: -Signore, ha lei la palla?
Il capitano annuì mostrando la sfera e indicando il cadavere di un uomo dilaniato da colpi di arma automatica nel petto.
-L’ho strappata di forza al loro centravanti.
-Signore, dov’è la porta?
-Laggiù.
Il capitano indicò un punto in direzione sud: un ammasso di fumo indistinto.
Di sicuro la porta avversaria era lì, come il pubblico, anche se invisibile.
Da quando il calcio è diventato armato non lo vedo più durante le partite.
Eppure era c’era e urlava a squarciagola.